Alla fine se uno ci pensa il punk è sempre stato postumo. Del punk fu dichiarata la morte molto prima che ne fosse ufficialmente certificata la nascita, e oggi si parla di “punk” solo nella misura in cui si ha bisogno di sporcare i contorni di una certa mentalità piccolo-borghese, per renderla più spigolosa e finto-incompromissoria -nel fashion, ad esempio, o in certe forme adulte graphic design in un certo mainstream musicale; nella sua forma più pura ha cantato l’impotenza e il già successo e la possibilità di esistere solo costruendo una nicchia ai margini del sistema, coltivando orgogliosamente gli affari propri in quel pertugio e rimanendo a guardia per evitare che arrivassero a fregarsi le albicocche o -peggio ancora- venissero a comprarle a peso d’oro. E ha una sua perversa bellezza, in questo essere continuamente postumo, che il punk abbia scarsa inclinazione a celebrare con troppa enfasi la dipartita dei suoi alfieri: anche gente come i Ramones e Joe Strummer, relativamente parlando, se ne sono andati alla chetichella. Questo può anche essere dovuto all’assunto che il punk è tutto quello che vuoi che sia, e che ognuno vuole una cosa diversa, e che c’è sempre un buon motivo per cacare il cazzo,
(qui forse la principale ragione per cui punk e hip hop sono così diversi, nel senso che chi aderisce mani e piedi alla cultura hip hop tende a celebrare la propria superiorità rispetto al resto del mondo e in particolare nei confronti di quelli che gli cacano il cazzo; la cultura punk, al contrario, si rode il culo per partito preso e quando vede comparire all’orizzonte un cacacazzi riconosce in qualche modo un proprio simile e cerca in qualche modo di blandirlo e portarlo dalla sua parte)
e quindi sono stati in pochi a vestire il lutto alla notizia, arrivata domenica 2 giugno, della morte di Rick Froberg. Certo, se n’è parlato in tutti i posti giusti, ma soprattutto sul lato social non sono in così tanti a condividere quel sospetto di mutilazione culturale simile a quello che ad esempio ti dà la perdita di una rockstar generica.
Rick Froberg era un fenomenale musicista, e un fenomenale disegnatore, di San Diego. Nella seconda metà degli anni ottanta fondò i Pitchfork assieme a John Reis, che si sarebbe rivelato il compagno di scorribande per una vita intera. Era un periodo pazzesco per la scena di San Diego, nella quale Rick era inizialmente coinvolto soprattutto come artista di riferimento per poster e volantini. I Pitchfork erano uno dei tanti gruppi che in quel periodo si divertivano a smontare l’hardcore punk e ricomporlo per creare una cosa che magari non era proprio nuova in senso stretto ma che avrebbero potuto continuare a suonare dopo i 21 anni senza provare imbarazzo ogni volta che passavano davanti a uno specchio. Dalla fine dei Pitchfork nacquero i Drive Like Jehu, senza i quali il post-hardcore degli ultimi 25 anni (gruppi come ATDI, Blood Brothers, Pretty Girls Make Graves e tutte le filiazioni uscite da lì fino all’orrenda genia dei vari La Dispute, Turnstile, Touché Amoré e simili occupanti abusivi dell’immaginario accacì odierno). Huw Baines, in un articolo di qualche giorno fa, ha descritto così il dialogo musicale tra Froberg e Reis: “in maniera molto simile a quello che facevano Thurston Moore e Lee Ranaldo nei Sonic Youth, la musica di Froberg e Reis somigliava a uno specchio spaccato che veniva rimesso assieme con la colla, coi pezzi che venivano messi al loro posto assieme alle impronte delle dita insanguinate”. I Drive Like Jehu ebbero grandissimo seguito e andarono avanti fino a metà anni novanta; poi smisero di esistere, anche per via degli altri impegni di John Reis, che col nome di Speedo era al centro del palco con i Rocket From The Crypt (un nome che magari non dirà molto a chi è arrivato dopo gli anni novanta, ma in quel periodo ebbero una serissima chance di sfondare il muro della musica per appassionati e diventare roba per tutti quanti). Non successe. Froberg e Reis tornarono a suonare assieme alla fine del decennio sotto la sigla Hot Snakes: c’era ancora qualche disco grandioso da tirar fuori. Da lì in poi Froberg ha continuato con gli Obits (sempre il postumo), che erano una sorta di Rocket From The Crypt adattati alla sua personalità. Tutti i dischi in cui ha suonato o cantato hanno i suoi disegni in copertina, a definire una delle estetiche più esaltanti della storia dell’indie (che riusciva in qualche modo a mettere insieme la collage art di Jamie Reid e Winston Smith, il tratto brutale di Pettibon e un gusto per le campiture di colore mutuato probabilmente dalla pop art anni sessanta). Qualche reunion qui e là, qualche disco pubblicato, tutta la trafila. Un disco degli Hot Snakes “quasi pronto”, notizia di qualche mese fa (uscirà postumo, forse). Fino alla notizia della morte improvvisa, il 30 giugno 2023, per una non meglio specificata malattia al cuore che non sapeva nemmeno di avere.
Misantropo è chi, in un eccesso di vita, è stato abbandonato. Rick Froberg lascia in eredità una discografia di qualità eccelsa, con tre o quattro grandiose punte di qualità E almeno un disco da storia della musica, che a trent’anni dalla sua uscita continua miracolosamente a pulsare della stessa eccitazione di allora. Si chiama Yank Crime, è l’ultimo disco dei Drive Like Jehu ed è uscito nel 1994, praticamente postumo. Come è giusto che sia.
(l’articolo è la versione estesa di un trafiletto uscito oggi sul cartaceo di ravenna&dintorni)