Non è vero che la gente ai concerti è più incivile di quanto fosse una volta
(smettete di rompere le palle)
Ho letto (condiviso da Carlo Bordone su Facebook) un articolo di Simon Price sul Guardian, intitolato “People’s behaviour at music gigs is getting worse. I have three rules to solve that”. È un pezzo di opinione di Simon Price e nel complesso mi ha fatto quella sgradevole impressione che provo ogni tanto, non so se anche voi, quando vi rendete conto che in fondo un pezzo del genere scritto in italiano sarebbe potuto uscire in riviste tipo Il Giornale o Libero. Non voglio naturalmente parlar male in generale contro i pezzi musicali del Guardian, che in generale danno la paga anche a quotidiani a cui in Italia associamo una qualche idea di qualità giornalistica (leggevo giusto stamattina la recensione del disco di Mitski scritta da Petridis, mentre ascoltavo il disco). Lo stesso articolo di Price, tutto sommato, potrebbe parlare di episodi specifici e avere gli intenti più nobili del mondo, ma incontra una spiacevole vibe che negli ultimi mesi sta impadronendosi del dibattito popolare, legata soprattutto alla moda attuale di tirare roba agli artisti sul palco
(sono usciti almeno venti articoli sulla stampa internazionale con titoli stile why fans today are throwing shit at artists, o parafrasi; la spiegazione di solito è la stessa che dà Simon Price, e cioè che “per qualche motivo” la gente ha disimparato come si sta al mondo).
Non voglio dire che non ci sia qualche fondamento di verità in tutte queste cose, ma l’affermazione secondo cui i concerti stiano diventando posti più sgradevoli rispetto al passato mi sembra veramente una panzana. Faccio un piccolo spoiler: i punti di Price, le tre regole da scrivere sui muri dei locali per migliorare i concerti, sono
1 fate silenzio
2 mettete via il telefono
3 non siate degli stronzi
E quindi farò più o meno come nell’ultimo episodio della newsletter, partire dalle riflessioni di Price per fare qualche riflessione personale e (altro spoiler) invitare per quanto mi è possibile a considerare un quadro più ampio.
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“Earlier this week, Lucy May Walker, a singer-songwriter from Redditch, posted a series of modest proposals for behaviour at concerts under the title Gig Etiquette. The four subheadings for her guidelines were: 1. Don’t Talk During the Show; 2. Be in the Moment; 3. The Audience Have Not Paid to See You; and 4. Have An Amazing Time.”
La premessa è un post di Lucy May Walker, che ha tutto il diritto di parlare come parte in causa, anche se è brutto quando una persona sul palco dice “voi avete pagato per vedere me, non un pezzo di merda in quarta fila”.
I’ve been a music journalist since the mid-1980s, and one thing I can say with confidence is that people’s behaviour at gigs has become objectively and observably worse over time.
Ho molta meno esperienza di Price: il mio primo concerto in assoluto fu una trasferta in pullman di circa 35 km per andare a vedere i Litfiba in un palazzetto, nei primi anni novanta. Ricordo che eravamo partiti e avevo portato dei panini e una bottiglietta d’acqua, e un tizio più grande mi aveva chiesto cosa c’era dentro la bottiglia. Dal suo punto di vista la domanda aveva un senso: lui la bottiglia di Levissima l’aveva svuotata e riempita con un litro e mezzo di grappa fatta in casa. Una volta entrato nel palazzetto era evidente che si trattava di una cosa che i concert-goers dell’epoca facevano piuttosto spesso e francamente mi pare incredibile che, in posti con quel consumo di alcolici, così poca gente ci abbia lasciato le penne. Non so se oggi questa pratica sia così diffusa ma propenderei per il no -foss’altro per il fatto che in giro ci sono meno distillerie abusive e droghe più performanti. A proposito:
The proliferation of class A drugs at gigs can’t be overestimated as a factor. It’s worse on a Friday night, and it’s not kids – it’s grown men (and it usually is men) on a night out after work, coked-up and showing off about their new car or their next holiday. And it’s no use trying to ignore them: if you’re stuck behind them, they’re the first thing in your sightline and the first thing in your range of hearing.
Una domanda: perché odiamo i maschi borghesi che vanno ai concerti con la macchina nuova, parlano di Djerba e tirano una ranza di coca tra il gruppo spalla e l’headliner, visto e considerato che abbiamo fatto di tutto per averli ai nostri stessi concerti? (o almeno per me è evidente che se rispetto a vent’anni fa pretendi location più carine, birre di maggiore qualità e spettacoli più grossi, sei disposto/a a pagare più soldi e accompagnarti a gente più ricca). Ma sembra solo, in realtà, un’altra declinazione di un’idea neoclassica di concerto come esperienza religiosa collettiva in cui l’individualità rappresenta un ostacolo a prescindere, come se il tizio coi mocassini che si fa fotografare dall’amica pretendesse in qualche modo di esistere come persona in un contesto nel quale ci è richiesto di esistere solo come fan -ma se ci fossero meno fan e più spettatori, probabilmente ci sarebbero meno problemi ai concerti.
The me-me-me culture inculcated in us all by the smartphone is the other factor. We’ve reached the point where a not-insignificant number of people don’t want to be at the gig – they want to be seen to be at the gig, so they can whack it on Instagram. As a result, every gig nowadays is a sea of glowing screens. (I was at a Nicki Minaj gig once where someone in front of me held up a tablet that was, I swear, A3-sized.)
E insomma anche in questa puntata siamo arrivati alla cultura dell’ego, ai telefonini che sono l’inferno e gli influencer nel posto e l’individualità che spezza la bolgia. Va detto che io sono piuttosto contento, ad esempio, di avere a disposizione centinaia o migliaia di video delle boygenius, le quali manco passano per l’Italia, su YouTube o TikTok. Ma magari dal punto di vista del musicofilo anziano che suona vinili in un impianto stereo da 30mila euro la qualità di quei video è inaccettabile, e posso capire che questa persona non la condivida. Rimane il dubbio se i telefonini siano o meno un problema. Ai concerti dove vado io (che non sono più, purtroppo, i gruppi crust negli squat, ma normalissimi concerti di area indiesnob), ad esempio, sicuramente no. L’utilizzo collettivo dei telefoni per fotografare e girare video è sicuramente massiccio, ma non così alienante. Sicuramente le percentuali cambieranno in città come Milano o Londra che ospitano in proporzione più concerti-evento, e ok. In periferia, sparo a casaccio, si può dire che in ogni momento del concerto un ottavo dei presenti ha il telefonino alzato al cielo. Può essere sgradevole ma personalmente trovo più sgradevole altre cose (ad esempio che il concerto inizi alle 23 passate). Se invece parliamo di gente coi telefonini alti al concerto di Nicki Minaj, credo sia compito dell* stage designer di Nicki Minaj mettere insieme una scenografia che tenga conto dei telefoni.
These things used to be self-policing and there was an unwritten code. So, for example, if there’s a moshpit and someone falls, you stop and help them back up. If someone’s shorter than you and you’re blocking their view, you get out of their way. If you absolutely must get nearer to the stage, go round the side instead of barging through the middle. Most of these conventions simply fall under the catch-all rubric of Don’t Be a Selfish Idiot.
In effetti esisteva questo unwritten code. Sono stato nel pogo a molti concerti e ho sempre più o meno salvato la pelle, spesso tirato su da energumeni che piuttosto che preoccuparsi delle mie condizioni fisiche avrebbero tranquillamente potuto lanciarmi a mani nude nella proprietà adiacente. Ed è vero che nei posti piccoli e familiari (squat, circoli, piccoli club) le cose sono sempre andate lisce, a parte qualche occasionale raid delle forze dell’ordine. Mi piace comunque ricordare l’unico momento in cui ho rischiato di farmi male sul serio: Carisport di Cesena, festa studentesca, diciamo 1996, suonano Titta e le Fecce Tricolori (un gruppo demenziale che in quegli anni attirava folle oggi impensabili). La band attacca la cover di Adriano Pappalardo (una Ricominciamo che nella struttura somiglia un po’ a Stand By Me dei Pennywise, se capite cosa intendo: tranquilla per un minuto e poi via botte). Io sto bevendo una birra a trenta metri dal palco, in totale tranquillità, e quando il pezzo inizia ad andar forte tutto il palazzetto inizia a pogare violentissimo. Alcuni dei presenti non sono a parte dell’unwritten code di cui sopra, e mi arriva una gomitata in faccia che rischia di portarmi via la mandibola e che, a dispetto di un tasso alcolico piuttosto liscio, continuerò a sentire lungo tutta la settimana successiva. Poi mi piacerebbe chiedere cosa ne pensano dell’unwritten code di cui sopra le ragazze che non facevano stagediving nei posti generici perché chi ci provava doveva subire una violenza di gruppo. O il tizio che stava nel pogo con una lametta in bocca a tutti i festival che ho visto a Bologna, o i tizi di due metri a cui chiedevi di spostarsi e ti rispondevano che non era colpa loro se la mamma t’aveva fatto nano/a, o le numerose teste di cazzo che ignoravano la regola del muoversi sul fianco e pur di avanzare 40 centimetri erano disposte a spappolare la gente sulle transenne (nei casi più illuminati, e tutt’altro che rari, organizzare veri e propri assalti di gruppo ai tizi della security per riuscire a entrare nel parterre). E giustamente Price, che scrive un pezzo d’opinione, non cita proprio tutti gli articoli di quell’unwritten code. C’è un articolo, ad esempio, che a un Independent Days mi ha fatto finire in mezzo a un dieci contro dieci perché l’amico di un tizio che avevo conosciuto un’ora prima aveva visto nell’arena un tale con cui la ragazza l’aveva cornificato, ed era andato a picchiarlo, e bisognava evitare un’escalation. Ce n’è un altro per il quale tra un po’ venivo pestato da tre o quattro tizi ubriachi perché eravamo a un festival metal e io indossavo una camicia azzurra. C’era un altro articolo per cui, ogni volta che si esibiva una band con una bella donna in formazione, una fetta molto grossa del pubblico era tenuta a cantare un coro per supplicare di farcela vedé e farcela toccà (un rituale che peraltro continua sporadicamente a ripetersi a dispetto del fatto che, in trent’anni di cori, nessuno dei coristi abbia visto, e men che meno toccato, un cazzo di nulla). La rigidità di certi articoli dell’unwritten code sul presenziare ai concerti di una certa dimensione imponeva in effetti la creazione di un codice di sopravvivenza all’interno del codice, quasi sempre auto-costruito e fondato su una manciata di regole personali che supplissero alle stronzate a cui l’unwritten code ci obbligava (unito, tra le altre cose, a condizioni ambientali quasi sempre insalubri, tipo la quasi-impossibilità di pisciare a un grande concerto)
There is a fightback happening: artists from Savages to the Afghan Whigs have displayed signs urging a phones-off policy at their shows. On the other hand, some artists are making it worse. Like Sam Ryder, appearing in a Vodafone adwhere he encourages two women to take a selfie with him mid-song, further normalising the horror.
Sono affetto da un brutto caso di dipendenza da smartphone, e quindi magari non dovrei essere io a giudicare le scelte teatrali di qualcuno. Dovessi generalizzare, nessuno dei danni causati al concerto dall’uso massiccio di telefoni mi sembra maggiore del danno causato dal divieto di usare il telefono durante il concerto, anche perché -teoricamente- dovrebbe essere quello che succede sul palco a non farmi venire la voglia di leggermi un ebook sul telefonino o controllare se Musk ha fatto esplodere Twitter.
This summer saw a spate of articles about the bizarre trend for throwing objects at the stage – not as a physical heckle but as a form of worship. Singer Bebe Rexha sustained an eye injury after being hit by a mobile phone, and Harry Styles, Drake, Kelsea Ballerini, Pink, Taylor Swift and Lil Nas X have also been targeted by fan-launched missiles. Throwing stuff at other audience members is now also a thing.
Mi dispiace che questa cosa stia succedendo, ma credo si tratti di un altro ordine di problemi. La gentilezza può arrivare in tanti posti ma non credo che un accorato invito alla civiltà possa far desistere una che progetta di lanciare le ceneri della madre addosso a Pink. Mi unisco comunque all’appello di Simon Price: non tirate il telefonino addosso ai musicisti. In nome della buona fede perdoniamo anche coloro che presero a sassate i Blink 182 a Bologna, o i Methods Of Mayhem a Milano, o i Primal Scream a Imola, e in cambio mi piacerebbe che la smettessero di prenderci in giro e raccontarci che gli oggetti che volano sul palco siano un trend dell’estate 2023.
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Sono molto scettico in merito alla possibilità di controllare il comportamento di diecimila persone che si affollano in uno stadio, men che meno alla possibilità di affidarsi all’autocontrollo. Il consumo di droghe ai concerti, in senso molto lato, mi sembra molto migliorato nell’ultimo periodo, e questo mi sembra aver portato a un generale miglioramento delle dinamiche sociali all’interno delle arene. Non mi aspetto che il governo Meloni o la Prefettura comprendano questo miglioramento, ma gli analisti musicali potrebbero almeno provarci. Dobbiamo ricordare che un grande concerto è, ancora nel 2023, una delle situazioni più disumane a cui le persone della società occidentale sono disposte a prendere parte pagando soldi, e che in queste situazioni un certo istinto di sopravvivenza gioca un ruolo importante.
Concludendo: le tre regole di Price sono debolucce. Sorry. Si può senz’altro condividere la terza, ma è ragionevole pensare che uno stronzo possa smettere di essere stronzo durante un concerto? Non so. Sul fare silenzio durante i concerti, giustamente, nemmeno Price si spinge troppo in là -ci manca pure che mi obblighino a star zitto durante un concerto rock. E santiddio. Ma se vi dà fastidio la gente che parla, probabilmente vi dà fastidio la gente, e in quel caso ostinarsi a frequentare posti con 1000 persone pressate contro i muri non è una buona idea. Se uno vuole continuare a farlo e a lamentarsi, nessun problema. Sarebbe carino che nel farlo smettessimo di rimpiangere tempi d’oro che non sono mai esistiti, belle persone che non siamo mai stati e codici morali che non abbiamo mai avuto. Per i telefoni, ok, santiddio, continuate a usare i telefoni e tutto il resto. Se non riuscite a farlo in maniera civile, pazienza. La gente che va ai concerti ha imparato a sopportare un quantitativo fisiologico di teste di cazzo. Grazie a tutti!