La teoria Marco Caizzi
Una possibile interpretazione alternativa della questione rave e di svariate questioni accessorie
Ma quello che mi chiedo io è come mai siano proprio i rave a fare così tanto incazzare la gente, intendo la stampa o la politica. La prima volta che ho letto male di un rave è stato mesi o anni prima di mettere piede a un rave, e continuo a leggere male dei rave ancora adesso, e non metto piede a un rave da vent’anni, quindici anni, non lo so manco io. Se ci pensate questa cosa non succede praticamente MAI per altre forme di espressione, nemmeno musicali. Lasciamo stare i gavettoni di pomodoro sui quadri, che indignano la stampa ma non la politica e per cui ancora non sono state pensate delle leggi speciali (diamogli tempo). E lasciamo stare i casi in cui effettivamente qualcuno si fa male, tipo quando ci scappa il morto agli showcase dei rapper, e in quel caso ci sono gli editorialisti prestigiosi 75enni che cercano di spiegare i 25enni ai 50enni, o i servizi di Studio Aperto che parlano della droga e delle popstar e di questa generazione. Ma se non succede niente, se la festa è una festa normale e c’è semplicemente della musica alta e qualche sostanza, in quel caso sembra sempre essere un affare di stato. Intendo dire che non capita più di leggere i servizi sui concerti punk simili a quello che ho letto sul Corriere dopo il rave, scritto da un giornalista che era effettivamente andato al rave di Modena, a vedere specificamente di cosa si trattasse, e che non aveva capito un cazzo comunque, o ha comunque scritto un report in cui sembrava non aver capito un cazzo, a uso e consumo di gente che
cioè, anche qui non voglio spingermi troppo avanti ma m’immagino che il pubblico del Corriere sia composto per il 30% da genitori di adolescenti che possono tranquillamente chiedere al figlio/a e ottenere un resoconto più dettagliato, magari di prima o seconda mano. Poi lasciamo stare le leggi speciali anti-rave del nuovo governo di centrodestra, che sono un capitolo a parte della vicenda, e l’opposizione del centrosinistra a dette leggi (nelle parole pubblicate su Facebook da Stefano Bonaccini, tra l’altro competente per territorio, sembrano rosicare per non essere stati loro a promulgare un decreto speciale anti-rave). Lasciamo stare queste cose. Quello che mi chiedo io, ed è una cosa a cui non riesco a dare una risposta, è: perché proprio la dance? Perché la musica da ballo, o forse il ballo in se stesso, ha questo strano potere di far compattare la politica e la stampa contro un nemico comune della cui esistenza dubita chiunque sia sano di mente?
Ho un amico che si chiama Marco Caizzi. Forse conoscete il suo progetto musicale, Rainbow Island, o magari vi capita di frequentare qualche posto di Roma in cui mette dischi. Marco, con cui condivido l’amore viscerale per i volpini italiani (la più convincente prova dell’esistenza del male in questo pianeta) e una chat di whatsapp, ha una teoria per spiegare questa cosa che per ora mi sembra la più convincente. La sua teoria, o comunque la mia interpretazione della sua teoria, è la seguente: in Italia, per tradizione culturale, il ballo può essere concepito solo come ballo organizzato con le mosse prestabilite, tipo i corsi di latinoamericano o i grandi eventi sponsorizzati con i biglietti e il drop al momento giusto, e tutto quello che è fuori da queste due cose è ballo visto come un gesto politico, e quindi -dice lui ma ha convinto pure me- non considera una dimensione fondamentale del ballo, la terza, che poi in realtà sarebbe la prima, la primaria, il ballo per il ballo. Questa idea che in questo momento io sto ballando perché voglio ballare, il ballo pagano. Sono qui perché voglio ballare però non ho imparato le mosse e non ho pagato il biglietto dell’evento quindi nessuno ci sta guadagnando e nonostante questo non sto protestando contro niente, sto semplicemente -dio cristo- ballando assieme a tot altre persone che sono qui per il mio stesso motivo, cioè ballare e basta. Ma se questa dimensione è negata, pur essendo la principale, tutto il ballo che non è organizzato e irregimentato è per definizione un ballo politico. E quindi ha senso che, pur non facendo male a nessuno e negando in premessa un certo tipo di machismo, sia ancora visto come una forma sovversiva, un’idea che che (tra le altre cose) è condivisa in pieno anche dal giornalismo musicale, che lo vede con gli occhi della stessa -stupidissima- dicotomia e quindi non stiamo mai solo ballando, ma in realtà stiamo opponendoci naturalmente alle spire del liberismo (che rispecchia appieno questa nuova concezione, venuta fuori nell’ultimo trentennio, per cui si può essere opposizione e non fare opposizione).
Quindi in pratica allo stato attuale abbiamo un decreto legge che serve a limitare un fenomeno che nessuno sembra avere gli strumenti cognitivi per comprendere. O che tutti comprendono essere sostanzialmente innocuo ma già che ci siamo facciamo il decreto e poi, se c’è da sgomberare qualche altro assembramento di stampo effettivamente politico e di opposizione, e mandare in galera qualche facinoroso, può sempre fare alla bisogna. Abbiamo una maggioranza e un’opposizione sostanzialmente compatte e concordi su questo decreto. Abbiamo la stampa generica che ciancia di perdizione e droga-party (come se esistessero party senza droghe) e abbiamo la stampa specializzata che ciancia di rivoluzioni. E abbiamo, e questo è il punto che più mi irrita, una dimostrazione oggettiva e concreta che il pubblico della musica da ballo è dieci volte più sovversivo, pericoloso, socialmente osteggiato e rincorso dai poliziotti del pubblico di roba che tutti ormai percepiscono innocua pantomima da pensionati, tipo black metal e simili. Voglio dire, lo sono, ma vi rendete conto quanti soldi abbiamo buttato lungo l’adolescenza?