(Nei primi anni novanta in Romagna la parola sborone ha iniziato ad entrare in crisi, vittima di una serie di interpretazioni contraddittorie che si erano affastellate nel tempo e avevano imbastardito il concetto originale. Si utilizzava sborone come sinonimo di molto bello, ad esempio, ed era iniziata a passare l’idea di sborone che continua ad esistere oggi, ovvero una sorta di maschera della commedia dell’arte che qualcuno poteva scegliere di interpretare o non interpretare a seconda dei momenti. Mario Rossi è una persona tranquilla e timida ma mercoledì sera ha voluto fare lo sborone e venire al bar con la giacca di lustrini. In quel momento ha iniziato ad esserci bisogno di una nuova definizione che potesse descrivere quello che la parola sborone identificava nel decennio precedente – persone, perlopiù maschi, la cui vanità era talmente elevata e pervasiva da diventare quasi una condizione invalidante. A quel punto, ed eravamo appunto nei primi anni novanta, si è iniziato a parlare compiutamente della sborrata. Era una parola figlia del progressivo italianizzarsi della nostra terra, ed è stata per questo (paradossalmente) meno utilizzata per definire i romagnoli fuori dalla Romagna. La sborrata è una condizione psicologica. Quando si dice che Tizio o Caio ha una gran sborrata ci si riferisce ad un tratto caratteriale che una data persona ha, e che inficia ogni aspetto della sua vita fino al punto da chiudergli delle porte. Se hai una gran sborrata non puoi agire tranquillo e rilassato in nessun contesto. Non è una questione di fiducia in se stessi, è una cosa più simile a Scanzi. Sei in fila alle poste e in qualche modo la tua sborrata viene fuori. Se ti approcci a una ragazza devi farlo in modo vanitoso e quasi suicida. Parli di calcio e suoni come uno che pretende di capire la sua squadra del cuore molto più a fondo dell’allenatore della sua squadra del cuore. Sono affezionato alla sborrata perché è una figura retorica perfetta soprattutto nel portare alla mente quel deformarsi del viso tipico del maschio nei momenti in cui orgasma e/o la dice grossa.)
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Credo di aver capito qual è il vero problema del Sanremo odierno, ed è appunto ovviamente la sborrata, questo bisogno così pervasivo di flexare ad ogni costo. Flexare, flexare, flexare come se non ci fosse un domani. Flexano gli autori che annunciano i concorrenti in gara elencandone i successi, tradotti in numeri di streaming
(assioma di Spotify: se per annunciarti devono puntualizzare quanti milioni di streaming hai fatto su Spotify, per qualche motivo nasce automatico il sospetto che tu in realtà non valga un cazzo e non ti si caghi nessuno)
Flexano i concorrenti, flexano gli ospiti, flexa l’orchestra, flexano gli inserzionisti. La sborrata sembra quasi la condicio sine qua non dell’esistenza del festival. Questa sborrata di estrazione gangsta in cui nessuno si premura di aver prima messo insieme non dico un CV da gangsta ma almeno una mezza collezione di dischi, in cui tutti sembrano partire da un livello zero di skill e un livello dieci di sborrata. Sborrano tutti. Sborrano i Lazza coi testi che puntualizzano di aver fatto il primo posto nelle chart ma in realtà cioè il vuoto dentro o quel che è, sborrano le Ferragni che mandano le email alla se stessa di qualche anno prima per elencare i successi a prescindere dalle dificoltà
(non è manco una questione di Chiara Ferragni, nel senso che nell’ultimo mese ho letto almeno cinque articoli/interviste di gente piena di soldi che denuncia le ingiustizie sociali e il bisogno di costruire un mondo diverso a partire dal proprio privato. Io non credo che abbia molto senso lamentarsi se questa gente è cresciuta col mito del farcela, o comunque credo che abbia molto più senso isolarli, non cagarli, tagliarli fuori dal nostro mondo e fare altro. Il che è difficile da accettare, perché significa smettere di correr dietro alla loro elemosina, che tiene in attivo i conti di molti di noi)
Sborrano gli Articolo 31 e quel bisogno di raccontarsi istantaneo che la nostra storia è molto burrascosa ma anche molto amore ma anche molto cazzi nostri e comunque ne parliamo perché siamo un pezzo insostituibile di questa cultura, e sborrano le Paola&Chiara in qualche modo costrette a rimarcare un atteggiamento che a un certo punto per motivi a me ignoti è diventato “iconico” (come del resto gli Articolo 31, e anche loro hanno un ottimo atteggiamento); sborrano i Rosa Chemical e tutti i testi che tu pensi di me questo ma io cioè; sborrano le Oxarte in pienissimo powertrip Bianconi che se non capisci il mio pezzo magari è un problema di analfabetismo funzionale. Sborrano i Blanco che van lì a spaccare e sborrano gli Al Bano/Ranieri/Morandi/Pooh che ok, insomma, loro quello devono fare e quello fanno (voglio dire, AlBano ha fatto letteralmente le flessioni sul palco). Sborrano i Fedez, ovviamente, che il gender i fascisti al governo e il Codacons ma soprattutto io io io, cazzo io, poi lasciamo stare che Sanremo è anche quel posto in cui volente o nolente ti mettono su un palco alle stesse identiche condizioni in cui mettono gli altri, e in qualche modo io sono obbligato a metterti a confronto (e lì so può anche far finta di non accorgersi che 5 minuti di Fedez ultrapolitico non riescono manco a competere con 5 secondi di Salmo in ciabatte). Sborrano i Benigni che vanno a raccontare che la nostra costituzione sia la migliore del mondo, e io sarei stato curioso di chiedergli su quali basi e quali fossero le final four. Sborrano ovviamente gli Angelo Duro, e non è che sia chissà quale problema, ma è anche triste accorgersi di come Rai l’abbia giurata a vita a gente tipo Solenghi/Marchesini/Lopez per aver preso un po’ per il culo la messa cattolica, e oggi invitano gente apposta per avere qualcuno di sboccato e irriverente, e il risultato finale sono i dieci minuti di Angelo Duro, che della sborrata assume per certi versi l’aspetto più nobile ostentato e pagliaccesco. Ma gli stessi dati Auditel o i follower dell’instant-Instagram di Amadeus, o le inserzioni pubblicitarie che ti spiegano in modo bonario e commosso che sei perfetto così come sei (mai viste tante come quest’anno), sono tutti piccole manifestazioni di questa grande copiosa sborrata a cui in qualche modo partecipano tutte le figure coinvolte e che forse, più che essere una sborrata di Fedez Amadeus e Blanco, è una sborrata del festival e a cui il festival ormai non può rinunciare.
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Sono stato adolescente in un’epoca nel quale era necessario diffidare dell’overstatement, di questo continuo raccontarsi come grandi imprenditori di se stessi e a partire dal proprio successo, sia esso oggettivo o completamente campato per aria; erano altri tempi e il minimalismo peloso di certi stili di vita alternativi e di alcune controculture può aver viziato il campione d’indagine. Ma è comunque diventato il nostro modo di stare al mondo, e quando in giro per il locale c’è troppa sborrata noi siamo abituati a valutare con gli occhi quanti metri ci separano dalla porta d’uscita. Non sono convinto ma sospetto che la cosa di cui ci dobbiamo prendere cura sia questa, questo atteggiamento smargiasso che ormai il festival ha introiettato e con cui infetta tutte le persone che in condizioni normali andrebbero lì a cantare una canzone col cappello in mano e tutta l’aria possibile nei polmoni, e nel 2023 trovano assolutamente normale andare lì a cantare i medley del loro stesso repertorio. È il risultato finale di un’autoassoluzione che forse è partita da un certo pubblico di nicchia, da una classe di cui facciamo parte e che si auto-percepisce come intellettuale, e magari si è allargata come narrazione fino a permeare nella mente dell’Italiano Medio, che oggi sembra guardare a Sanremo come a una cosa che possa dare indicazioni precise in merito a cosa sia il paese fuori dal festival (o comunque Sanremo di questo è incrollabilmente convinto, forse per via della sua sborrata, e i dati sugli hashtag non lo sbugiardano). Una cosa che Sanremo semplicemente non è, perché Sanremo è anacronistico parallelo e irriflessivo, e lo è tanto più quanto s’impone di essere immanente e contemporaneo e riflessivo. E tutta questa sborrata che è di Sanremo e delle persone che sono Sanremo (o anche solo a Sanremo) mi suona tanto come l’ultimo giro di transazioni miliardarie prima dello scoppio della bolla. Non voleva essere un’altra metafora dell’orgasmo maschile ma