Katherina Bornefeld spring-summer collection 2025
(a un certo punto si parla del nuovo disco dei The Ex)
“Se avevo tre palle ero un flipper”
(Anonimo, Calisese di Cesena FO, circa 1987)
Nella galleria dell’ipermercato di fianco a casa mia c’è tutta la sfilza dei grandi negozi di fast fashion che occupano di solito quelle gallerie -Oviesse, Pull&Bear, Benetton, H&M, Bershka, Kiabi e un’altra decina di cui non ricordo il nome ma non ho la più pallida idea di come cazzo facciano a vendere tutti quei panni. E io sono un fan dei panni, assolutamente, se avessi i soldi che servono per vestire bene li spenderei tutti, ed è per questo (forse) che quando vado a fare spesa cerco di ritagliarmi una mezz’oretta per fare un giro nei negozi di cui sopra e vedere se c’è qualcosa a cui non riesco a resistere. Riesco a percepire anche una certa eccitazione quando entro in un negozio, derivante dal fatto che magari dieci anni fa ho trovato un paio di jeans a 15 euro nel cestone dei supersconti e li ho indossati come prima opzione per mesi
(mi pare fosse il mio amico Diego a sostenere l’ottima teoria che quando qualcuno ci fa un complimento per un capo di abbigliamento siamo portati per istinto a rispondere che l’abbiamo pagato poco, uno dei pochi tratti proletari che ci sono rimasti addosso)
e ovviamente nella maggior parte dei casi esco dal negozio affranto e senza aver comprato niente, ma di tanto in tanto mi capita ancora di fare un bell’affare. L’anno scorso da H&M sono capitato davanti a una maglietta dei New Order a 5 euro, ed è vero che seguo la regola ferrea di acquistare magliette dei gruppi solo al banchetto dei concerti ma è anche vero che sono un ipocrita totale, così l’ho portata a casa e non indosso altro da un anno. Sono cosciente che non è un atteggiamento sano e che dovrei comprare le cose in altri posti e tutto quello che sta scritto in quei libri e articoli che abbiamo letto tutti quanti ma come ho detto non ho soldi per i vestiti, e quindi (approssimando) non ne compro, e quindi non mi sono formato in testa delle vere e proprie regole. La t-shirt che indosso in questo momento è una normale t-shirt bianca, quella che la gente chiama ‘maglietta della salute’. negli ultimi tre o quattro anni la maglietta bianca senza stampe è la prima cosa che mi preoccupo di avere pulita nel cassetto. Ho elaborato una specie di schema nel mio modo di vestire: i maglioni le giacche e pantaloni sono sempre neri o al limite blu scuro o grigio scuro, le magliette sono quasi sempre bianche, le scarpe sono quasi sempre bianche. Seguire la regola mi permette di tenere contenuto il mio budget, di evitare tantissimi colpi di testa (‘ma guarda che bel cappotto, è stupendo, guarda che taglio, mi sta DA DIO, è verde, peccato, non lo posso comprare’) e illudermi saltuariamente di avere un briciolo di gusto nel vestire.
(no)
Quindi insomma, quando sopra dicevo che non mi sono formato in testa delle regole sul vestire stavo mentendo, ho un sacco di regole come tutti, e sono state cesellate in anni di esperienza ed errori madornali. Ci sono capi d’abbigliamento che mi piacciono tantissimo indossati da altre persone ma che a me stanno malissimo; ci sono capi d’abbigliamento che mi piacciono tantissimo indossati anche da me ma magari li ho visti addosso a persone che disprezzo; ci sono capi d’abbigliamento che mi piacciono ma ho paura che diano un’idea sbagliata di me alle persone che ho davanti. Sono regole che seguiamo tutti, in una maniera spesso inconsapevole. Mi capita di vedere i post sui social di persone che possono legarsi a vario titolo al mondo del fashion, e molto spesso mi trovo a provare un sentimento d’invidia verso il loro atteggiamento nei confronti del vestire: stamattina si vestono come un rapper con quattro anni di galera alle spalle, domani vogliono sembrare un nobiluomo del diciottesimo secolo. Non c’è niente di male nel lanciare messaggi complessi e magari contraddittori attraverso la roba che ti metti addosso. Ma io non ci riesco. Io, e suppongo tutti quelli come me, indossiamo solo vestiti con cui ci sentiamo a nostro agio, e ci sentiamo a nostro agio in quei vestiti perché affidiamo loro il compito di raccontare il posto dove siamo, quello da cui siamo venuti e tutte le tappe intermedie -è la tua vita a scegliere per te, che si tratti di borchie o camicie svasate. Nel mio caso il risultato finale è una pallosissima maglietta della salute comprata in una pallosissima merceria, non dico di indossarla con orgoglio ma se al suo posto ci fosse un corpetto con la scritta ARMANI che si allunga lungo tutto il torace, mi sentirei un idiota.
È abbastanza normale che un disco come il nuovo The Ex abbia smosso poca attenzione al di fuori del circuito di gente che nel bene o nel male sapeva che lo avrebbe amato anche prima di ascoltarlo. Normale perché i The Ex quest’anno festeggiano quarantasei anni di attività discografica, e se qualcosa fosse dovuto succedere al di fuori di quel circuito, a quest’ora sarebbe successo da tempo. Le implicazioni politiche e culturali che la semplice esistenza (e mi si permetta, lo stato di forma) di questo gruppo si porta dietro sono così enormi che da molti punti di vista è meglio raccontare il presente senza tener conto della loro esistenza, sono il motivo per cui sapevo che avrei amato il disco anche prima di ascoltarlo e forse anche il motivo per cui sto continuando a sentirlo quotidianamente da quando è uscito -intendo, non so se tutto il valore del disco sia effettivamente nel disco o se la mia testa in qualche modo lo completi. La spiga che ci mette il gruppo invece mi sembra un fattore oggettivo e imparagonabile a qualunque livello -non si può suonare come i The Ex, perché la loro musica è il loro vestito, e loro indossano solo roba con cui si trovano a loro agio e che racconta di tutti i posti in cui sono stati -per noi è difficile anche immaginarli, tutti quei posti lì, ma ad un altro livello quel che conta è che oggi siamo seduti allo stesso tavolo e questa cosa nel disco si sente (e Terrie ha addosso la stessa orrenda polo rossa scolorita che ha addosso tutte le volte che li vedi suonare)