(nota di servizio: questa è la versione espansa dell’episodio di settembre di una rubrica che tengo su Rumore. La rubrica si chiama Panzane ed è dedicata ad alcune cose che diamo per scontate intorno alla musica e che nella mia personale opinione sono, appunto, panzane; l’episodio sul numero attualmente in edicola attualmente in edicola parla della possibilità di separare uomo e artista)
Quando ho iniziato a mangiare le schiacciatine avevano a grandi linee lo stesso gusto che hanno oggi, ma un aspetto molto diverso. Le schiacciatine venivano vendute in grandi sacchetti di plastica leggera, contenenti ciascuno una dozzina di tavolette molto grandi, diciamo di 20x10 centimetri circa. La fragilità intrinseca della schiacchiatina e la scarsa consistenza dell’imballo rendevano quasi impossibile mangiare una schiacciatina perfettamente intatta. E se è vero che a livello di gusto mangiare una schiacciatina spaccata in due non fosse quel che si dice un problema insormontabile, è vero anche che la ferrea ritualità nell’alimentazione dei bambini genera trappole mentali e sfide con se stessi che alla lunga possono sfociare nella psicosi. Vi racconto alcune delle mie abitudini d’infanzia, fermatemi quando vi suonano familiari:
1) Il Cucciolone si mangia in ordine crescente di preferenza degli ingredienti. Per prima la parte allo zabaione, subito dopo la panna e infine il cioccolato.
2) La Kinder Brioss viene divisa in tre fette orizzontali, separate dai due strati di crema che la tagliano. Il rituale si compone di due parti. Per prima cosa occorre separare perfettamente i tre strati, senza che i residui di pasta di uno strato rimangano attaccati alla crema dello strato adiacente. Una volta raggiunto lo scopo si passa al livello successivo di difficoltà: mangiare i due strati esterni tenendo in mano lo strato centrale, senza macchiare le mani e i vestiti con la crema e senza agitare pressioni eccessive che deformino il pan di spagna.
3) Il Buondì Motta viene mangiato in questo ordine esatto: per prima cosa si mangiano TUTTI gli zuccherini presenti sulla crosticina, in modo che dalla stessa sparisca ogni traccia di bianco. Di seguito si separa la crosticina dalla brioche, poi si mangia la brioche, e si conclude mangiando la crosticina. Postilla: il Buondì al cioccolato non esiste.
4) Il Cornetto, in qualunque forma gusto marca o sottomarca, vale come mangiato solo se si è riusciti ad estrarlo dalla carta senza rompere la punta in basso. Lo so, nella vita avete mangiato dieci cornetti a dir tanto. Pensavate di più. Anch’io.
Insomma, dopo qualche anno sul mercato hanno iniziato a comparire le schiacciatine come vengono solitamente vendute ancora oggi: dei sacchettini monoporzione con tre tavolette, ciascuna di 10x6 cm circa, della stessa consistenza e dello stesso gusto che avevano le schiacciatine più grandi. I sacchetti sono ordinati in un vassoio sagomato di plastica leggera-ma-rigida che ne otto sacchetti, due strati da quattro ciascuno. Il vassoio, a sua volta, è chiuso in un altro sacchetto di plastica. Prima legge del capitalismo: quale sia meglio e quale sia peggio lo decide il mercato. Il mercato ha confrontato i due prodotti e deciso che il secondo fosse molto più sexy. La schiacciatina monodose ha preso a sciabolate la quotidianità della working class con una carica rivoluzionaria che oggi è sostanzialmente inimmaginabile. Certo: per lo stesso peso di prodotto veniva utilizzato il quadruplo della plastica, o anche di più; ma i consumatori hanno deciso che l’aumento di costo fosse accettabile, e hanno lasciato tutti i sacchettoni di schiacciatine 20x10 sugli scaffali. Dopo un po’ di tempo i pochi sostenitori dell’ancien regime hanno iniziato ad avere difficoltà nel reperire i sacchettoni delle schiacciatine anni ottanta. Chi provava a lamentarsi socialmente veniva accolto da scherno e mestizia, veri e propri appestati sociali. Gente poco sexy, appunto, gente che cià la vipera in tasca, gente che non era disposta a spendere una quantità irrisoria di denaro in più, a fronte di un beneficio così evidente ed incontestabile: le schiacciatine monodose sono sempre croccanti, non rischiano d’infiappirsi, non si rompono e te le puoi portare quasi ovunque con facilità.
Un appunto che personalmente considero estremamente importante nel provare a parlare di questa cosa: quando dico che “è il mercato a decidere” io immagino che Il Mercato sia in effetti una persona vera e propria, più esattamente l’Uomo Del Monte di quella pubblicità anni ottanta: un bifolco azzimatissimo in cima a una montagna che osserva barzotto i suoi dipendenti sottopagati rompersi il culo al sole e prende decisioni cruciali sulle loro esistenze. L’idea di affidare qualsiasi tipo di potere decisionale a una persona che ha il coraggio di vestirsi in quel modo mi spaventa più di qualunque lista civica abbia mai visto correre alle comunali.
Ok, anche le schiacciatine monodose si rompono prima che noi si sia riusciti a mangiarle, ma negli anni abbiamo acquisito quel tanto di mentalità che serve a non prendere troppo sul personale questa cosa (ma se ci guardiamo di fino e col puntiglio di un dodicenne questa cosa che le schiacciatine si rompono comunque sembra il finale di un libro di Orwell). Ora: il fatto di lavorare in un’azienda che produce roba a me fa sembrare scontate cose che molta gente che conosco considera sconvolgenti. Ad esempio: dei prodotti che trovate sullo scaffale di un supermercato, non più del 20% è stato messo su quegli scaffali seguendo quella che la gente brava chiama una strategia commerciale. Il restante 80% è arrivato su quegli scaffali seguendo un complicato percorso di segni della croce, rapporti umani, favori vecchi di trent’anni, capacità affabulatoria di un direttore commerciale, e via di questo passo. Poi è chiaro che se i Pan di Stelle vendono si intensifica la produzione e si fa una campagna di rebranding miliardaria, ma è un altro discorso. E quindi la domanda è questa: stante che oggi tutti chiedono un più basso impatto ambientale, e forme di economia più sostenibili, e un deciso cambio di passo rispetto al climate change, com’è possibile che le aziende non si rendano conto che una cazzo di schiacciatina venga impacchettata nel triplo della plastica necessaria, visto e considerato che tanto si rompono lo stesso?
(questo blocco di testo non serve quasi a nulla ma non ho il cuore di non-scriverlo) Poi naturalmente ho studiato un goccio di microeconomia, e poi ho studiato che la microeconomia si poggia su un impianto così rigido da essere fondamentalmente inapplicabile a qualunque situazione reale. È opinione comune, ad esempio, che a parità di tutto il resto il consumatore tenda a preferire il prezzo più basso, ma in realtà non è vero. Proviamo a buttare un gancio sul mercato discografico. Ponete di essere in un negozio di dischi, e di avere due soli dischi davanti di cui non sapete niente, ma avete assolutamente bisogno di comprare un nuovo disco e portarlo a casa e suonarlo. Un disco costa 9 euro e l’altro ne costa 7. Comprereste quello da 9? Non so. Io quando sono in un negozio e vedo i dischi in una pila di nice price, e non conosco il disco, tendo a pensare che sia una ciofeca che non è riuscita a vendere a prezzo pieno. Per dire. Ecco, la microeconomia assume che il comportamento degli attori economici (non so, il consumatore) sia perfettamente misurabile in ogni suo aspetto. Il mio concetto preferito è il costo-opportunità, che in pratica imputa un valore a una certa cosa, basato sul valore delle opportunità che perdo facendo quella cosa. Quindi ad esempio Madonna ha un costo-opportunità di tot euro, dato dal maggior valore del tempo che passerei seduto a non fare un cazzo e senza ascoltare un disco di Madonna. Non è meraviglioso? Comunque, dicevo, la microeconomia si fonda su tutta una cosa di concetti legati alla marginalità. Come per le schiacciatine; le schiacciatine monodose costano 10, quelle anni ottanta costano 7: quali si compra? In questo momento si compra quelle a 10 perché i benefici valgono più dei 3 di differenza. Ma se le schiacciatine costassero 11 in quanti continuerebbero a comprarle? E se il prezzo salisse a 12? Un’azienda non fa necessariamente questi ragionamenti, anzi -proprio zero. Ma se le schiacciatine escono dai negozi, pagate i soldi che devono esser pagate, l’azienda ha fatto il suo lavoro e tutti i disastri climatici di questo pianeta non la convinceranno a cambiare di un acca i suoi processi produttivi, a meno che un approccio alternativo non si dimostri più profittevole.
(spoiler: gli approcci alternativi non sono mai, o quasi mai, più profittevoli)
Da un certo punto di vista al mercato discografico sta succedendo la stessa cosa. Nell’ultimo decennio e mezzo il disco in vinile ha smesso di essere una rarità ed è diventato lo standard assoluto e insindacabile su cui la musica dev’essere registrata e riprodotta. A questa percezione hanno contribuito diversi fattori, tra cui la mancanza di alternative percorribili per il mercato fisico e l’idiozia dei fan di musica. A fine anni ottanta ci siamo convinti che i CD fossero molto migliori degli LP (più pratici, più maneggevoli, più comodi da suonare eccetera), a fine anni novanta ci siamo convinti che gli mp3 fossero molto migliori dei CD (pratici, maneggevoli, comodi da suonare come i CD e gratis), a fine anni duemila ci siamo convinti che gli LP fossero molto migliori di CD e mp3 (perché l’amore per l’analogico il suono caldo le grafiche e altra roba divertentissima). Era una questione di scompensi ideologici e valori dopati. Oggi, inutile dirlo, la bolla ci è scoppiata in faccia e la crisi s’è abbattuta come una mannaia sul mercato degli LP, che era già drogato. La discussione sull’impatto ambientale dello stampar dischi in vinile è tornata in forze, verniciata color apocalisse e servita sul piatto d’argento di un settore che, comunque, sulla sua chiusura imminente s’è già messo il cuore in pace. Avete letto qualche articolo sul disastro ecologico legato alla produzione dei vinili, magari rapportato al CD o alla musica in streaming? Beh, anche io. Gran parte della discussione è greenwashing a rovescio: è vero che molti stanno facendo passi indietro e stanno tornando a stampare CD invece che vinile, ma non molti di loro lo fanno per ragioni ambientali. Il discorso è lo stesso delle schiacciatine: il mercato decide se ha voglia di pagare quei soldi in più o meno. L’aumento dei costi di produzione in un settore tutt’altro che strategico non è stato piacevole: materie prime, energia, trasporti e tutto il resto (no, gli stipendi non sono aumentati). L’ultimo quindicennio di discussioni mainstream sulla musica in formato fisico si è basato sull’idea che il vinile fosse un valore assoluto: premesso che il vinile era considerato da tutti IL modo corretto in cui ascoltare la musica, si discuteva su opportunità e costi e profitti e bestemmie per farli arrivare in tempo per il tour. Oggi stiamo scoprendo che il vinile non è più un valore così assoluto. Siamo disposti a pagare 60 euro i vinili che ci tirava già il culo pagare 30? Non so.
(la musica in streaming inquina più dei CD? Fanculo. Torniamo agli mp3. Datemi un servizio ad abbonamento con cui per 10 euro al mese posso scaricarmi quel che voglio, criptato per funzionare solo sul mio dispositivo, così mi sento i dieci dischi che mi va di sentirmi e non arrivo al break even della tossicità ambientale, come se poi non passassi comunque il resto del tempo connesso a internet)
L’ultimo biennio ci ha messo di fronte a un’evidenza empirica che la mia generazione non ha mai saputo maneggiare: le risorse del pianeta in cui viviamo si stanno esaurendo. Lo sapevamo? Ovvio che sì, ma un conto è averne coscienza in senso teorico e un conto è affrontare la problematica concreta e palpabile che la teoria comporta, una volta rivelatasi corretta. Ma nel mondo in cui viviamo, triste a dirsi, cosa succede e cosa non succede con quello che consumiamo lo decide ancora il mercato, e ogni giorno di più ci accorgiamo di quanto queste “decisioni” siano folli dannose e prive di senso. Per la prima volta in 50 anni e oltre, insomma, il sistema economico occidentale sta seriamente considerando l’ipotesi che l’Uomo Del Monte si sia rincoglionito, e che magari sarebbe meglio affidare queste decisioni a qualcun altro. Come a dire: non è più solo una questione di quanto costa e di quanto sei disposto a pagare. Ma se abbia senso buttar via tonnellate di plastica perché abbiamo il pallino di mangiare le schiacciatine non sbriciolate, o non convenga piuttosto ragionare un minuto e toglierci il pallino. È una metafora.