Oggi sentivo la nuova puntata di Friday., il mio podcast musicale preferito, che riprendeva un articolo uscito sul Post durante la settimana, che traduceva un articolo uscito sul Washington Post, che ha raccolto alcuni pareri legati al fatto che oggi non si fanno più così tanti bis ai concerti. Ovviamente ho delle idee precise sulla faccenda e molto puntuali (entrato nei miei quarant’anni sopporto con molta fatica tutte le cose che ai concerti ritardano la fine del concerto), ma non sono in questa sede così importanti. Però grazie alla puntata e agli articoli ho fatto mente locale e ho deciso che il più bel bis a cui abbia mai assistito è successo nell’estate del 2006. Tre mesi prima ho regalato una serie di biglietti del Ravenna Festival alla mia fidanzata. Il Ravenna Festival è un festival di musica che si tiene a Ravenna, mette in cartellone perlopiù eventi di musica classica (ma mi è capitato di vederci anche Merce Cunningham e i Broadcast, per dire) e li sottopone a un pubblico che ha scarsa dimestichezza con l’articolo. Anche io, del resto. Direi, più esattamente, che questo sia il primo concerto di musica classica a cui io sia andato in vita mia. È un po’ patetico, perché vado per i trenta e professo un qualche tipo di passione musicale. La mia morosa è un po’ più navigata, non è un’oltranzista ma sa qualcosa di musica classica, eccetera eccetera. Mi spiega più o meno come funziona: l’orchestra eseguirà due sinfonie, quelle che sono annunciate in cartellone. E non si può applaudire se non alla fine di ogni sinfonia, che dura all’incirca una quarantina di minuti -come un disco pop- e poi c’è il bis. Per il bis, mi spiega, di solito funziona così: si applaude finché ce n’è, il direttore fa gli inchini coi musicisti in un modo tutto studiato e sempre uguale, e poi il gruppo se ne va, e tu continui ad applaudire, e poi tutti tornano mentre tu stai ancora applaudendo. O forse il gruppo non lascia e il direttore sì, in questo momento non mi ricordo. Comunque a un certo punto Il direttore sale sul suo predellino del menga e si rivolge, per la prima e unica volta, direttamente al pubblico: annuncia autore e titolo del pezzo che l’orchestra andrà ad eseguire, e che solo lui/lei e l’orchestra conoscono. Il pezzo ha una durata variabile, per quanto mi ricordo: può essere un’aria o qualcosa di molto più strutturato, non so esattamente quale sia la regola. Quella sera siamo in un palazzetto, la serata è sold out il direttore è Riccardo Muti, che sta al Ravenna Festival più o meno come gli Shellac stanno al Primavera Sound. Si presentano sul palco e la gente va in visibilio. Suonano per le due ore successive, e non posso dire che mi abbiano convertito alla causa della musica classica. Ma il pubblico è davvero entusiasta, sono quasi tutti in piedi e stanno applaudendo come se le persone sul palco avessero appena inventato la musica. Riccardo Muti è palesemente molto abituato a questi bagni di folla, s’inchina quel tanto che serve, mostra di essere assolutamente in controllo alla situazione, esce e rientra. Sale sul predellino, si volta verso il pubblico, raccoglie un altro minutino di urla e applausi, aspetta che tutti si quietino. Ci vuole qualche altro minuto.
Quando tutti hanno finalmente chiuso il becco prende la parola. Lui non ha il microfono, ma nel palazzetto non vola una mosca. Il Ravenna Festival può vivere di questi eccessi. Fuori hanno deviato il traffico per evitare che qualche scapestrato col clacson rompa i coglioni a uno dei più importanti direttori d’orchestra al mondo. Muti si lancia in uno stunt irrituale e dice: “Abbiamo deciso di non preannunciare quale pezzo andremo ad eseguire, perché sarebbe un insulto alla vostra intelligenza”. Attaccano a suonare, vanno avanti per una decina di minuti e poi staccano tutto. Poi il palazzetto esplode in un tripudio, una cosa veramente da grandi occasioni. Il direttore e l’orchestra prendono tutti gli applausi, ringraziano in maniera sentita ma anche distaccata, e tornano dietro le quinte sapendo di aver conquistato la loro folla. Scendo dalla gradinata con la mia morosa, ci dirigiamo verso il parcheggio. Chiediamo a tutte le persone con una faccia amichevole che aria abbiano suonato come bis. Tutti lo stanno chiedendo a tutti. “Forse Giuseppe Verdi”, azzarda un tale.