Forse è ora di smettere di parlare di nostalgia
(appunti da sviluppare in futuro in altra sede e spero da qualcun altro)
Siamo alla fine dell’agosto del 2024 e credo sia ora di finire con questa menata della nostalgia, e del nostalgico, e di tutto quello che ci va appresso. Nel giro musica parliamo di questa cosa ininterrottamente da vent’anni, alcuni anche da trenta o quaranta, non lo so. Fino a 15 anni fa erano anche discorsi interessanti, ci partecipava gente con un certo livello di competenza, reale o postulata
(nei discorsi sulla musica l’oggettività è in sostanza assente e la bontà di una certa teoria o dell’altra non è quasi mai verificabile dal punto di vista empirico; il criterio per definirla buona o cattiva è legato perlopiù alla capacità del critico di esporla)
Ancora in questi giorni, complice la reunion degli Oasis, scriviamo e leggiamo articoli che parlano della nostalgia come se non se ne fosse mai parlato prima. “SIAMO UNA GENERAZIONE NOSTALGICA”. Rispetto a cosa? Esistono indicatori concreti e misurabili della nostalgia generazionale? Siamo sicuramente nostalgici di qualche disco, non so, un centinaio di titoli a dir tanto, e magari una dozzina di film e un paio di serie TV (o anche no, le serie TV ci piacciono di più da quando non si chiamano più “telefilm”). La domanda è: nel passato vivevamo effettivamente proiettati verso il futuro o no? Sognavamo di diventare qualcosa di preciso? La nostra esistenza era tesa a questo scopo? Voglio dire, ok, io sono sempre stato un perdigiorno e ok, ma i miei compagni di liceo hanno studiato ingegneria perché all’epoca dicevano che era la laurea con cui si trovava lavoro. Altra domanda: il nostro sistema politico-economico-sociale tenteva in qualche modo a obiettivi di lungo periodo che non fossero sintetizzabili in questo generico ideale della crescita e dell’arricchimento (che, nel caso, mi sembra lo stesso che c’è oggi)?
Ecco, secondo me no, manco per il cazzo. Non voglio dire che le teorie sulla nostalgia musicale non siano state mai interessanti, e anzi tutti noi le abbiamo sposate quando e come c’è convenuto, ma sono teorie che lasciano il tempo che trovano, letteralmente (pioveva prima, piove adesso, grazie della teoria). E nella maggior parte dei casi sono teorie stupide. Tipo: è giusto o sbagliato che i gruppi si riuniscano, togliendo spazio culturale ai gruppi nuovi? O anche, ancora meglio: è giusto o sbagliato che i dischi del passato vengano ristampati?
(ma che domanda scema, ti rendi conto?)
(parlare di “nostalgia” nella maggior parte dei casi significa questo: isolare una questione specifica e poi moltiplicarla per otto miliardi di abitanti, un sistema di pensiero induttivo molto complesso ma comunemente accettato per cui la reunion degli Oasis, ad esempio, diventa un modo di pensare la reunion come concetto generale totale globale ai cui principi dovrà aderire in futuro l’ipotetica reunion degli Atari Teenage Riot) (non li seguo da 25 anni, magari i membri ancora vivi suonano assieme regolarmente)
Dicevo, cosa dicevo? Non è un vero episodio della newsletter, è una serie di appunti casuali. Ok, sì, volevo dire che forse uno dei motivi per cui i discorsi sulla nostalgia musicale sono così presenti è che le generazioni di intellettuali si sono scombinate, e alla nostra età ci possiamo vedere i trick degli skater alle olimpiadi come se fosse qualcosa di normale (lo è) e magari pontificare sul fatto che ai nostri tempi Jay Adams o chi per lui pippava le metanfetamine dalla tavola o boh (non lo è). In questo c’è un bel paradosso, perché la generazione dei quarantenni e dintorni può consumare musica come se avesse diciassette anni (aggiornarsi sulle uscite, ascoltare i dischi, stare dentro le reti, andare ai concerti, pagare l’albergo), e contemporaneamente lamentarsi di poterlo fare. E alla fine è tutto qui, nel fatto che non c’è cosa più nostalgica del rimpiangere la tensione futurista (un discorso che peraltro era molto caro a mio babbo, classe 1939).