(guest starring di Alberto Grillo)
Sul nascere del Duemila avevo a quanto pare altre priorità se, nel pieno dell'hype di Lost, un hype peraltro durato sei anni, della saga geigeiabramsiana sapevo a malapena di questo gruppo di dispersi sull'isola. Duemilacentonovanta giorni di un'ignoranza difesa con inespugnabile puntiglio, prima di avventurarmi in solitaria nella maratona delle sei stagioni (7/8 alle prime tre, 4/5 alle ultime tre, sul mio personalissimo cartellino). Perciò i trecentosessantacinque giorni di acritica bolla trascorsi dall'uscita della versione originale del penultimo* libro di Cormac McCarthy, o i centottantaduevirgolacinque dalla traduzione italiana della sempre ottima Maurizia Balmelli, mi hanno fatto un baffo.
È possibile scrivere qualcosa di nuovo a dodici mesi dalla pubblicazione di The Passenger e a sei da quella del Passeggero? I miei due amici Francesco, che qui per comodo distinguo chiameremo K e J, e che si dilettano di recensioni con brillanti riscontri, sostengono rispettivamente che "la critica è una cosa che interessa a pochi o pochissimi nerd" e che "la critica è un argomento che interessa solo ai critici". Per K "ha perso la capacità di far vendere o non vendere" così come J è convinto che ormai sia "una scorciatoia per i pigri". D'altronde che gliene importa, con la critica mica ci devono campare, quei due. Trattano grano, loro. Uno in semi, l'altro in banconote. Che poi si riferiscano alla critica musicale invece che a quella letteraria non sono sicuro che, in questo contesto, faccia una grande differenza.
Coltivato con ogni probabilità nel corso di un'intera esistenza, Il Passeggero rimane pur sempre il frutto prodotto dalla mente e dal cuore di un ultraottantenne. Ora, io non conosco l'età media del lettore di questo contenitore, ma per il bene futuro dello stesso spero che, nella maggioranza dei casi, egli rimbalzi in quella fascia dove nemmeno si viene sfiorati dall'idea che, un giorno molto lontano, inginocchiati a terra per raccogliere, chessò, una penna, possa manifestarsi l'istinto ancestrale di approfittare dell'occasione per dare un'occhiata sotto al divano, metti che trovo qualcos'altro, così risparmio la fatica di chinarmi di nuovo.
Iniziamo allora col mostrare rispetto nei confronti di qualunque ottuagenario si prenda la briga, raccolta l'eventuale penna, di mettere giù fossero anche due cartelle. Certo che se sei McCarthy (ma qui nessuno lo è, giusto?) dalla potenza della tua prosa deriva una certa proverbiale responsabilità. A una prima lettura Il Passeggero può prendere in contropiede. Un mistero locale irrisolto, da cui il titolo, piazzato in apertura. Uno caso storico ancora aperto, JFK, a ridosso della chiusura. In mezzo, più dell'alternanza fra capitoli convenzionali e non, sono il Kid e la sua cricca a rimandarci alla banda di Voland nel Maestro e Margherita. E può l'orologio fra le grinfie del ragazzo di Talidomide non ricordare quello che Bianconiglio sfodera al cospetto di un'altra, ben più nota, Alice? L'abituale vigore del fraseggio è relegato, in pochi misurati passaggi, a comprimario di un profluvio di dialoghi, anche immaginari, forse le parti più puramente mccarthyane del romanzo, dove l'autore allenta la tensione del controllo, soprattutto negli scambi tra il Kid e la sorella del protagonista, in una lisergica fantasmagoria di divagazioni prog.
Se è vero, e lo è, che la produzione di McCarthy è "un organismo di libri in costante progressione nel tempo" (Emanuele Trevi) questo capitolo semifinale dell'autore americano è la copia ad alta risoluzione della sua carta d'identità. Quella che, preparando i documenti per accompagnare il tuo grande vecchio verso l'ultimo viaggio, davanti alla sua foto più recente, d'improvviso ti accorgi che gli pesavano proprio tutti, sul groppone, gli anni. E non ti assolvi per non essertene accorto prima, mentre a lui adesso perdoneresti tutto, o quasi. Perché il giorno che toccherà a noi, di intravedere anche solo a debita distanza la soglia del secolo, sarà tutto più chiaro. Tanto che, riprendendo un'altra volta tra le mani Il Passeggero, avremo clemenza per un intrigo sospeso. Accetteremo bonari i drappelli di e. Non rimpiangeremo le opunzie. Sopporteremo l'assenza di necessarie carneficine e puntuali apocalissi. Sorrideremo sul cognome dell'ultimo protagonista, quel Western che viene fuggito nientepopodimeno che a Formentera, supponiamo pronto a scatenarsi, l'estate del 1984 è alle porte, sulle note di Sandy Marton. E arrivati a quel punto, per un unico, irripetibile momento, saremo tutti un Cormac McCarthy, perché anche a noi, come a lui, come ai vecchi, non ce ne fregherà più un cazzo di niente.
(non a caso nello *spin-off Stella Maris, 190 pagine di dialogo spogliate di voce narrante, il “Non capisco una parola” dell'interlocutore è ribattuto dal “Non importa” della protagonista).
(Alberto Grillo ha esordito con Quote, segnalato al Premio Calvino e uscito nel 2021 per Il Canneto)