Casey Chaos
Si ascolta musica per un sacco di ragioni diverse e ad esempio c’è quella famosa striscia di Morrissey che dice che la musica che suonano i dj non mi dice niente riguardo alla mia vita -è vero? Non è vero? Dipende dai dj e qualche anno dopo s’è iniziato a scoprire che se prendi Morrissey troppo alla lettera finisci a parlare con un gastroenterologo. Io comunque per un certo periodo di vita ho ascoltato un sacco di metal e questa cosa credo mi qualifichi come metallaro -non stiamo lì a fare troppo i sottili sui significati, magari, ok?, bisogna trovare una parola per dire certe cose. Adesso non lo sono più, certo mi piace continuare ad ascoltare tanto metal ma lo taglio con dosi molto massicce di qualcos’altro, e il metal troppo diluito non ti qualifica come un ascoltatore di metal -figurarsi un metallaro. Ma nel frattempo mi sono reso conto di continuare ad averne bisogno, forse appunto perché mi dice qualcosa della mia vita, e non è niente di preciso o specifico ma, come dire,
non so se vi capita, a volte sono in giro per una serata di quelle a cui si deve essere -presentazioni di cose, eventi aziendali, cose a cui porti i bambini, e ti metti sulla strada del ritorno in macchina a tarda notte e sei frastornato da troppe chiacchiere che non volevi fare, con gente che non voleva chiacchierare con te e non voleva condividere un cazzo di nulla. Nel corso del tempo ho scoperto di essere sempre più in difficoltà con i contesti nei quali mi trovo contro la mia volontà, forse perché quando invecchi hai meno occasione di diluirli nelle altre belle serate della settimana o innaffiarli con i superalcolici. O ci sono brutte giornate di lavoro o brutti pomeriggi in coda al pronto soccorso e via così. Certe l’amarezza di aver buttato via il tempo con cose e persone che non lo meritavano è così insostenibile che il bisogno di ascoltare dei dischi incazzatissimi e rimettermi in sesto è irresistibile. Sono dischi usciti nel periodo in cui ascoltavo il metal, e quindi gli anni dell’adolescenza e della prima età adulta (ma del resto è un bisogno adolescenziale). Forse perché li lego a certi momenti della mia vita, magari a un gruppo che ho visto o a una cosa che mi è successa mentre stavo ascoltandoli, e a un qualche immaginario potere di catarsi. Non la definirei una lista, più una comfort zone della mente in cui posso buttarmi a pesce e ritornare a uno stato di umanità, un macrogenere trasversale fatto di gente che suonava senza curarsi troppo di conservare il respiro per il giorno successivo.
Tra i gruppi che ascolto più spesso ce n’è uno che deve la sua fama a circostanze non proprio usuali. Alla fine degli anni novanta Ross Robinson era il produttore artistico di gran lunga più richiesto e coccolato del rock pesante, quello che sembrava aver inventato da solo il suono che tutti quanti ascoltavano in quel periodo (i Korn, i Sepultura di Roots, i Limp Bizkit eccetera), un suono che aveva già dimostrato di poter essere replicato abbastanza facilmente e riproposto in contesti sempre più trucidi e popolari. Ma per qualche motivo Ross Robinson aveva deciso di non volerci avere a che fare: aveva più o meno abbandonato il genere dopo aver prodotto gli Slipknot e si era messo a fare da mentore a un giro di band che per molti versi sembravano in contraddizione con tutto il giro dei riffoni simil-hiphop. È di questo periodo Relationship Of Command degli At The Drive-In, tanto per dire, e giravano voci di un’imminente collaborazione con gli Emperor. Con i quali era entrato in contatto grazie all’amicizia con il cantante di un gruppo punk di Los Angeles, che a un certo punto era riuscito a prendere sotto la sua ala. Si chiamavano Amen, e di fatto erano una sorta di propaggine della personalità di Casey Chaos: un gruppo alla Sex Pistols, quindi molto rumoroso e molto sgraziato ma tutto costruito sulle melodie. Casey Chaos era un personaggio di un’altra epoca, uno di quelli che si facevano ancora il viaggio del punk originale, tutta l’iconografia (più era caricata e sopra le righe, meglio era) e tutto il discorso ideologico della fine degli anni ’70, a partire dalle automutilazioni e dalle tensioni ai concerti. Robinson gli aveva dato una corazza metal che aveva senso e per quindici minuti li aveva imposti come un gruppo da cui ci sarebbe potuti aspettare grandi cose. Lui era uno di quelli che non la mandavano a dire, era ossessionato dalla controcultura in maniera quasi grottesca ed era inevitabile che si trasformasse in un cartone animato vivente. Poi non funzionò. Furono più o meno l’ultimo esempio di punk band in quel contesto, non generarono epigoni e si sciolsero dopo il terzo disco, che già di suo fu realizzato con estrema difficoltà. Da allora Casey Chaos ha galleggiato: un gruppo effimero messo giù con membri della scena black norvegese, qualche sporadico guest starring e per il resto ci si è occupati di lui quasi solo nelle pagine di cronaca. Ieri è arrivata la notizia della sua morte dopo 59 anni complicati, nessuna conferma delle cause, voci abbastanza agghiaccianti su reddit e canali analoghi; se n’è andato alla chetichella e senza che nessuno si stracciasse le vesti, come si conviene ad ogni punk rocker che si rispetti. Ma se siete di quelli che usano la musica per rimettere assieme i pezzi della loro vita, e se mai vi trovaste in macchina da soli alla ricerca di qualcosa che vi faccia ritrovare la bussola, consiglio di mettere in play il secondo disco degli Amen (We Have Come For Your Parents) e alzare il volume fino al punto in cui le casse riescono a tenere. Magari quelle canzoni vi diranno qualcosa sulla vostra vita.
(RIP)