100 canzoni italiane: UNA CAREZZA IN UN PUGNO
Revolution starts at home, preferably è meglio che sei allo specchio del bagno
Tipo che di solito passo per lo scemo del villaggio perchè cioè tipo dico cioè zio tranquo, quando queste interiezioni le può usare ogni stronzo, e io ti sembro mongolo solo perchè tipo è così che mi dipingono, generalizzano. Sì vabè che sono un pischellz e che finisco tipo nelle categorie fittizie di cui si ride dentro all'internet, però zio anche io ciò le voci di coscienza e completezza che mi parlano, o no? Solo che tipo non lo so, è come se ci sono mille voci esterne che mi dicono di non pensarci a quelle robe lì e quando i canali tipo che ne so i video troppo fuori tipo vengon lì e mi indagano perchè mi è venuto fuori una roba geniale allora zio stocazzo, ma chi me lo fa fare?
Uochi Toki, Shake Your Assets
Quello che intendo è che secondo me Gué non avrebbe davvero bisogno di sbagliare un congiuntivo e sarebbe tranquillamente in grado di parlare un italiano quattro volte più forbito del mio, ma ogni tanto si degna di cannare un modo verbale in qualche barra, suppongo per fare vocabolo o parlare al cuore della gente o qualunque altra sia la ragione. Quindi su questa particolare problematica del linguaggio, se è una problematica, noi abbiamo un punto di osservazione privilegiato. È il 2021 e praticamente tutti i rapper di prima ordinanza si sentono in obbligo di mettere apposta qualche congiuntivo sbagliato nelle rime per sembrare, non lo so, per sembrare persone comuni, gente che viene dal degrato e ha saltato dei pasti durante l’adolescenza e ha imparato il rap nei posti brutti e insomma in generale somigliano a quelli che ascoltano quei dischi, o a quelli a cui la gente che ascolta quei dischi vorrebbe somigliare. Sono straconvinto, senza avere dati concreti in mano, che si tratti di attivismo performativo in almeno metà dei casi -l’altra metà è fatta forse effettivamente di persone che fanno fatica a indovinare i congiuntivi e che non giudico perché pure io, dicevo appunto, ciò le mie difficoltà.
Quando mi sono avvicinato alla materia non era così. Ricordo ad esempio il primo disco del Colle der Fomento, eravamo a metà degli anni novanta e io forse nemmeno maggiorenne ancora, e sentire il brano-manifesto del gruppo (Solo Hardcore) mi ha effettivamente sconvolto. Nella seconda strofa a un certo punto mi pare sia Masito a dire che chi non ha niente da dire è meglio che non dice niente -all’epoca non avevo idea di chi fosse Wittgenstein ma il Colle l’aveva già portato senza volerlo nella quotidianità del vernacolo romano, ed era una cosa che quando la sentivi era molto forte, radicale, forse perfino pericolosa, sovversiva… o comunque si poneva a distanza rispetto a una concezione tradizionale di musica, segnava una distanza. Comunque non è stato il Colle der Fomento a introdurre il congiuntivo sbagliato nel pop, certo, ovvio. Lo sappiamo tutti quando è comparso la prima volta: 1968, un singolo di straordinario successo, il nome in copertina è quello di Adriano Celentano. Il lato A è una canzone che lo scorso anno le radio hanno trasmesso a reti unificate dopo l’inno nazionale, si chiama Azzurro, testo di Pallavicini, musica di Paolo Conte. Sul lato B c’è una canzone che si chiama Una carezza in un pugno.
Era la fine degli anni ottanta e questa cosa non me la ricordo proprio benissimo ma un pochino sì. Avevo una decina d’anni, guardavo la TV con mia mamma il sabato sera, a volte c’era anche mio babbo. A quei tempi su Raiuno c’era Fantastico, che era il varietà principale della televisione italiana di sempre e per sempre, collegato con la Lotteria Italia, una cosa che prima del Superenalotto aveva molta importanza.
(non so se ora si parli ancora di varietà, comunque si chiamavano così certi programmi TV in diretta, in cui succedevano cose più o meno a caso e senza un filo conduttore vero e proprio)
Quell’anno Fantastico era condotto da Celentano, che già all’epoca era un cartone animato vivente, uno che non si sapeva bene come facesse ma era capace di tenere trenta milioni di persone incollate a una TV e magari senza spiccicar parola. Era tutta una cosa passivo-aggressiva che ti metteva una paura fottuta e guardavi per capire non tanto dove si andasse a parare ma proprio quale fosse il senso, stile film di Lynch. Insomma, a un certo punto a Fantastico Celentano decise di schierarsi per il sì nel referendum sulla caccia, che ci sarebbe stato di lì a poco.
(il referendum era abrogativo, cioè uno di quelli che se voti sì intendi dire no, come la canzone degli Offlaga Disco Pax)
Insomma, lui era contrario. Approfittò del suo pulpito, come dicono i cantanti impegnati, per lanciare un messaggio. Che ovviamente non ricordo nei dettagli ma comprendeva pipponi politici schieratissimi, dati oggettivi, ricatti morali, video di mattanze e un filino di mumbo jumbo. Alla fine del monologo piombò in uno di quei silenzi lynchiani, andò alla lavagna, prese un gessetto e scrisse in diretta, nel programma più seguito della TV italiana di quegli anni, la sua dichiarazione politica, una frase semplice semplice. E poi si mise lì accanto in uno di quei silenzi pesantissimi senza la musica, per far sì che tutti si concentrassero su quel che c’era scritto.
Una carezza in un pugno è una fantasia erotica, dal punto di vista di un uomo che probabilmente si sta masturbando. La semplicità estrema del concetto è bilanciata da una costruzione linguistica molto barocca, poetica, che serve a farla franca coi chiesaroli dell’epoca -il tizio si sta masturbando ma sembra solamente dichiarare il proprio amore eterno immaginando un repentino alternarsi di possesso e gelosia, che finisce con un sospiro e una carezza. Tutto è bene ciò che finisce bene. La poesia della strofa, a sua volta, sembra schiantarsi contro il suolo all’inizio della seconda strofa, nella quale Celentano sbaglia un congiuntivo che non sbaglierebbe nemmeno un bambino di dieci anni. Al momento non sembra, ma è l’inizio di tutto.
Fino a Una carezza in un pugno la canzone italiana era pensata come una sorta di estensione della poesia e della letteratura del nostro paese, forse perché letteratura e poesia erano tradizioni secolari e la canzone di stampo sanremese aveva fatto il botto solo dopo la seconda guerra mondiale. Probabilmente i testi erano scritti da persone con un percorso accademico, o comunque una formazione classica, secondo la quale si preferivano versi più strutturati, metriche abbastanza forti e una certa ricercatezza lessicale. C’erano già state scosse a questo modello, molto modeste a dire il vero -Modugno, il primo giro di urlatori. La canzone aveva già iniziato a parlare alle persone in un modo diverso, meno arzigogolato. L’idea che si era fatta largo, con tutta probabilità, era che le persone che ascoltavano la musica non fossero necessariamente in cerca di un prodotto culturale che li migliorasse culturalmente ma magari -boh- li aiutasse a sognare cantare ballare e se c’era modo di rimediar ragazzi/e, tanto meglio. Nel 1968 l’Italia era a un bivio. Il ricambio generazionale era molto più problematico di quel che si pensasse. Smith e Carlos stavano per alzare il pugno guantato, la Primavera di Praga, il Maggio Francese. Ma non vorrei che tu a mezzanotte e tre stai già pensando a un altro uomo. In quel momento la canzone italiana esce dal discorso letterario e diventa un’altra cosa, si affranca dalla classe intellettuale, diventa una cosa della gente comune, fatta da gente comune, destinata a gente comune.
Quando gli veniva chiesto di spiegare, Celentano ci scherzava sopra. Nelle interviste ammetteva sia la sua condizione di ignorante che la natura dolosa di certi errori (nello stesso disco che contiene Una carezza in un pugno c’è Un bimbo sul leone, una delle più grandiose canzoni dance italiane, nel cui ritornello canta quanti belli colori in quella nuvola). La sua teoria (ho sentito una volta un’intervista in quei contenitori tipo Schegge) era che facendo girare qualche errore avrebbe abbassato il livello medio e sarebbe sembrato meno idiota. È facile credere a una natura dolosa di quel congiuntivo sbagliato, perché una canzone di quel successo ha passato indenne tutta la catena di comando che sta tra un autore che scrive il testo a casa sua e lo stesso autore che porta a casa il disco già uscito nei negozi. Anche perché l’autore che scrive il testo è Luciano Beretta, grandissimo autore in forza al Clan Celentano. E lungo la catena di comando una persona con qualche potere deve aver pensato che l’Italia fosse pronta ad ascoltare un congiuntivo sbagliato in una canzone di successo. Qualcuno deve aver voluto dare un segno, una cifra, a tutta la rivoluzione culturale di quegli anni.
In questo credo sinceramente che non esistano canzoni singole che siano state in grado di cambiare il pop italiano, in senso molto lato, come Una carezza in un pugno e il suo congiuntivo sbagliato. Molte delle canzoni dell’epoca s’erano azzardate ad esprimere concetti nuovi con un linguaggio vecchio, incassando comunque la fiducia del movimento (l’esempio di maggior successo immagino sia Storia di un impiegato), ma ad ascoltarle ad anni di distanza la scelta di tenere un registro così forzatamente poetico confonde le idee e sembra un saggio di sociologia che cerca di spiegare i Giovani Italiani Di Oggi al mondo accademico. Intanto per strada la gente tirava bombe fatte in casa e sbagliava i congiuntivi a tutto andare. È con Celentano, il re degli ignoranti, che inizia a formarsi l’idea di una nuova popstar, italiana e un po’ caciarona se vuoi, e deve esistere una qualche continuità di sguardo che sposi le foto in bianco e nero del Celentano dell’epoca e l’immagine di Alberto Sordi che si strozza con gli spaghetti in Un americano a Roma (rinnoviamo qui l’invito ai ristoratori italiani di togliere la suddetta foto dalla cornice della sala grande e buttarla nella differenziata). È con Celentano che nasce una nuova classe politica del pop italiano, una nuova figura di popstar dal basso innamorata delle sue origini lumpenproletariat, apolitica nei toni ma implicitamente politica nella costruzione intellettuale del personaggio. Una figura di popstar a cui si accorderanno quasi tutti i cantanti di maggior successo dagli anni ottanta in poi: i Vasco Rossi, i Cremonini, i Jovanotti, i Tiziano Ferro, i Raf -tutti grandi sbagliatori di congiuntivo, sia detto come complimento.
Da lì in poi si è trattato solo di aspettare. È arrivata una nuova generazione di rapper che forse non è stata ispirata direttamente da Vasco Rossi e Jovanotti e nemmeno da Celentano (non credo molto alla teoria che vede in Prisencolinensinainciusol il primo pezzo rap), ma che ha trovato un terreno fertile e tutti i motivi per schiacciare sul pedale del gas. Il risultato evidente è un mondo della musica in cui, come dicevo all’inizio, le popstar che sarebbero in grado di infilare tutti i modi verbali scelgono di sbagliarli. Certo, nessuno di loro sarebbe in grado di tenere la stessa dignità solenne di Adriano Celentano in piedi, silenzioso, di fianco a una lavagna con scritto LA CACCIA E CONTRO L’AMORE. Ma anche nelle conversazioni tra persone qualunque, ormai, la troppa attenzione nell’uso del congiuntivo sembra un indicatore di snobismo, di persona che si pone a distanza e si sente stocazzo in certi contesti. E si è parallelamente sviluppata questa idea del congiuntivo sbagliato come atto politico di estrema gentilezza, di azzeramento della distanza accademica tra gli individui e quindi -per molti versi- di spinta all’uguaglianza sociale originata dal pop. Se sia un lieto fine o no, decidetelo voi.
Nota 1: questo testo è la riscrittura di un piccolo intervento che ho avuto il piacere di fare come ospite a uno speciale podcast di Radio Raheem, a cura dell’amico Federico Sardo, che parla dell’errore come possibilità creativa nella musica. Lo trovate qui.
Nota 2: è la prima mail che spedisco con il nuovo servizio di posta, spero non ci siano problemi ma non posso prometterlo. Nel caso vi prego di segnalarmi qualunque problema e vedo di risolverlo. Grazie a tutti d’esservi iscritti