(Nota di utilizzo: 100 canzoni italiane è una serie inaugurata quando Bastonate era anche un blog. La serie va avanti da 10 anni in uno stato di coma apparente l’ultimo episodio vero è di 4 anni fa e questo è il 32esimo episodio. Fantastico spesso sull’idea di rimettermici sopra, ma da queste parti si naviga a vista)
Prendo quel che serve ad un discepolo del suono
Gravito nell’orbita del groove quando è buono
(Neffa, Lo spirito della dopa)
Sono arrivato tardi alla fermata del tram alla Barriera e ora devo sbattere un’ora di tempo in giro per il centro. La Barriera è una porta storica di Cesena e il principale snodo tranviario della città, anche se ad essere onesti a Cesena i tram non ci sono (chiamiamo “tram” tutti gli autobus di linea). È un giorno imprecisato del ’97 e la linea per Calisese, il paese di campagna dove vivo, passa ogni 60 minuti. Per farli passare mi faccio il solito giro per corso Sozzi a guardare vetrine sapendo di non avere i soldi per comprare nulla -al massimo un fumetto all’edicola della Barriera, nei giorni di grassa. Il posto in cui mi fermo sempre è il portone di un palazzo dove qualche membro della curia affigge tutte le settimane una lista dattiloscritta dei film in sala, con scritto a fianco se i bravi cristiani possono o non possono andare a vederlo (il giudizio va da “consigliato” per i film che spingono un forte messaggio cattolico a “inaccettabile” per i film che fanno propaganda per il partito opposto: tette, sangue, Satana, esaltazione delle droghe eccetera). Sono lì a leggere quando passa un amico del paese, Riccardo detto il Conte, che mi salva il culo offrendomi un passaggio in macchina. Ha in mano un sacchettino di plastica con sopra il logo di un negozio di dischi che sta in via Fantaguzzi. La mia amicizia con il Conte è la tipica espressione di come funzionano le compagnie nei paesi di campagna: puoi appartenere a una sottocultura giovanile nei ritagli di tempo ma il tuo giro di amici è fatto di ogni tipo di persone. Io sono una matricola universitaria senza soldi, lui è impiegato da anni in un’azienda del cesenate. Io nutro la bizzarra convinzione di essere un punk, lui è quello che si dice un fighetto: esce in camicia, ha l’auto pulita, la sua musica preferita è ‘la commerciale’. ‘La commerciale’ è una definizione che ho imparato in anni recenti e comprende, in sostanza, tutta la musica che passa per radio. Fino a pochi anni prima la commerciale era definita ‘la techno’, nel senso di musica elettronica da ballo, ma più di recente era diventato necessario distinguere tra la techno commerciale (cioè tutto quello che andava dai Rednex ai Daft Punk, diciamo) e quella che tutti chiamavano ‘la progressive’ (e cioè diciamo il giro hardcore-gabber-etc riccionese). Il Conte ascolta la commerciale, ovvero una musica elettronica senza personalità e senza valore artistico che nei miei vent’anni non ancora compiuti identifico come espressione artistica di tutto ciò che non funziona nel nostro paese. Ma mi ha promesso un passaggio a casa, e così gli chiedo che dischi ha comprato, e mi riprometto di non giudicare. Due singoli, dice. Quello delle Spice e quello di Gala. Le Spice le conosco, l’altra non l’ho mai sentita nominare. Il Conte ha modo di colmare immediatamente la lacuna, grazie a un’autoradio dotata di lettore CD. Ascolto cortesemente, ringrazio per il passaggio. Passerò quasi un lustro a ricordare quel momento e chiedermi come si possa essere così stupidi da voler spendere soldi per comprare musica così scema, a cui seguiranno due decenni abbondanti passati a chiedermi come si potesse essere così stupidi da considerare scema quella canzone.
Gala è Gala Rizzatto, nata a Milano nel 1975, figlia di Paolo Rizzatto (architetto e designer di fama internazionale: alcuni dei suoi design di lampade sono degli standard dell’industria da cinquant’anni), emigrata per ragioni di studio negli Stati Uniti, studentessa di fotografia, coinvolta a qualche titolo nella scena dance newyorkese, dentro cui inizia a muovere i primi passi prima di essere presa sotto l’ala di un giro di produttori italiani che fa capo a Molella. Pare che si sia offerta di scattargli le foto per la copertina di un disco, in cambio della possibilità di farle cantare una traccia. La liaison arriva a un punto di svolta nel 1996, quando Molella e Phil Jay prenderanno uno dei suoi demo (Freed From Desire), glielo faranno registrare in versione spaccapiste eurodance e renderanno Gala una meteora da milioni di copie. Seguiranno altri singoli, e poi un disco intero, e poi una vera e propria carriera artistica, che guardata con gli occhi di oggi è il risultato del moto inerziale di quel singolo di quasi trent’anni fa. Una storia di luci e ombre, invero piuttosto affascinante. Basti pensare alle origini del pezzo, a quanto pare scritto come una canzone d’amore dedicata al suo primo amore, un ballerino senegalese con cui Rizzatto aveva una relazione ai tempi. Il ritornello sembra una preghiera buddista comprata alla LIDL (freed from desire, mind and senses purified, nanananananana) e la strofa declama la potenza della volontà sulle cose del mondo:
my love has got no money, he’s got his strong beliefs
my love has got no power, he’s got his strong beliefs
my love has got no fame, he’s got his strong beliefs
my love has got no money, he’s got his strong beliefs
In un’intervista che appare recentemente su The Independent, Gala racconta che la canzone è ispirata anche e soprattutto alle disparità sociali sperimentate negli anni newyorkesi, la convivenza tra gente ricchissima e gente poverissima in un contesto apparentemente impossibile “It was a ‘fight the power’ song”, dice, ed è strano leggere queste parole pronunciate da una donna che, almeno in premessa, è un prodotto della borghesia milanese. A quanto pare, tuttavia, la storia editoriale del pezzo sembra una citazione del testo. Nelle sue dichiarazioni più recenti Gala non è particolarmente tenera: il contratto che aveva firmato all’epoca era pessimo, lei era poco più che una teenager senza un vero management, le persone in cui aveva riposto la sua fiducia si erano dimostrate tutt’altro che affidabili; questo ha fatto sì, a suo dire, che l’autrice e cantante del pezzo abbia partecipato in maniera molto marginale alla divisione degli utili generati dal pezzo stesso.
Non si può biasimare le persone che stanno lontane per tutta la vita da questo genere di prodotti discografici. Al di là del valore culturale e simbolico di moltissimi singoli, la stragrande maggioranza dell’eurodance anni novanta è esattamente identica al ritratto distorto che ne facevano gli snob musicali all’epoca - musica realizzata in catena di montaggio da producer diabolici, la cui cifra estetica richiedeva di sterilizzare e microfiltrare ogni parte del pezzo per tenere fuori dal mix finale ogni barlume di umanità. E com’è ovvio in molti casi questa componente motorik disumana ha un che di affascinante, ma sono comprensibili le ragioni per cui in un ideale musicale più ampio si tenda a non includere molti album di questa gente per rendere più organica la propria collezione. In questo contesto, Come Into My Life di Gala è un album sorprendentemente bello. Ne ho rimediato una copia dopo essermi ri-innamorato di Freed From Desire. Erano passati più o meno dieci anni dall’uscita del disco, avevo smesso di frequentare il Conte e gli altri amici del paese. Bizzarre coincidenze, il disco stava tra i CD usati al negozio di Oscar, a circa 100 metri da dove avevo sentito il nome di Gala per la prima volta. Come Into My Life è poco più che un EP, e non maschera il suo bisogno di essere soprattutto una raccolta di singoli potenziali per far alzare le braccia ai fighetti, ma la voce di Gala Rizzatto ha un timbro scazzato che dà al disco un sapore vagamente Hope Sandoval, e in generale i pezzi sono abbastanza buoni da giustificare l’esistenza del disco anche senza Freed From Desire. La quale esiste comunque, in due versioni (l’altra è un rework integrale, con linee vocali un po’ diverse e un beat downtempo abbastanza clamoroso). Credo che a quei tempi non fosse ancora uno standard assoluto nei cori da stadio, ma non c’è stato un periodo in cui le curve sono rimaste lontane da Freed From Desire.
Questo genere di canzoni sfrutta una corsia preferenziale in certi ambienti, per via del ritornello. Se arrivi al mix finale cantando nanananananana nanana nana in un pezzo destinato alle classifiche secondo me lo fai apposta per far cantare la gente quando il dj tira giù la levetta del gain in mezzo alla pista, e l’appuntamento con Freed From Desire con quelle piste non è mai stato una delusione. Da lì in poi serve una combinazione irripetibile tra duro lavoro, caso totale e spostamento degli assi del pensiero occidentale, che nel caso di specie ha fatto sì che non solo Freed From Desire sopravvivesse alla fine dell’ideale eurodance, ma si trovasse addirittura a prosperare. Le curve continuano a cantarla in coro, adattando il testo alla bisogna. La versione più celebre tra le tifoserie italiane recita Pioli is on fire, ma la si sentiva suonare anche in diffusione negli autoparlanti alle olimpiadi di Parigi.
La natura più profonda di Freed From Desire è in un conflitto di attribuzione che l’accompagna dal giorno dell’uscita. Gala ha dovuto accettare (l’ha fatto con orgoglio) il ruolo di ambasciatrice del suo pezzo. In anni recenti ha provato anche a ri-registrarlo, in una mossa tipo Taylor’s Versions, con la quale cercava di reimpossessarsene. In almeno un trattamento della nuova versione è coinvolto Diplo. È stata una cosa un po’ o la va o la spacca, e per ora la sta spaccando -non si può pensare Freed From Desire senza quel giro di tastiera iniziale, anche quello un inno alla sobrietà che sembra nascondere dentro di sé il segreto della dance music, ben oltre i confini dell’italo e di generi simili. Al contempo, Gala è quella che più di tutti ha accettato il fatto compiuto di FFD, il fatto che appartenga a tutto il mondo e che continui a comparire in contesti nei quali piazzarla a bella posta sarebbe impossibile. Racconta con entusiasmo alcuni episodi, l’orgoglio che ha provato ad ascoltarla sparata a manetta ai pride, e perfino a qualche manifestazione del giro Metoo/NUDM. Fosse diventata un inno fascista, dice, sarebbe stato peggio. La musica alle manifestazioni è un punto dolente, quantomeno in provincia -i dj non hanno rinnovato granché il repertorio, forse perché le sinistre tengono le loro band sotto scrutinio in un modo simile a quello in cui tengono i loro leader, e così dagli amplificatori in fondo escono ancora la patchanka e lo skapunk e Bella Ciao dei MCR. In un livello di analisi di grana appena più fine bisogna chiedersi se Freed From Desire non sia forse una delle massime espressioni della folk music (nel senso letterale di musica delle persone) odierna.
Quando sei ragazzo e ti attacchi alla musica, tendi a sopravvalutarla, ti trovi spesso a pensare che la musica che hai scelto sia la miglior persona del mondo e che la musica che non si sceglie sia, per sua natura, propaganda per idioti. L’età adulta spazza via questa convinzione abbastanza presto, assieme a tutte le altre convinzioni, e spesso non le sostituisce con niente. Magari a qualcun altro va meglio. Sta di fatto che la maggior parte dei dischi che ho amato e comprato nella seconda metà degli anni novanta non fanno più parte della mia vita, o comunque non nel modo in cui Come Into My Life e Freed From Desire ci sono entrati negli anni della maturità. Se parliamo di singoli eurodance anni novanta credo che solo Missing degli EBTG (intendo il remix di Todd Terry) la possa superare in termini di bellezza ed importanza culturale. Rimane all’ordine del giorno in un’epoca in cui la club culture è una cosa fondamente diversa, la “commerciale” e i “fighetti” non esistono più e (immagino) al cinema ci va così poca gente che ormai nemmeno la curia si degna di compilare un foglio per sconsigliare i film horror ai bravi cristiani. A dispetto di quante volte abbia sentito Freed From Desire, ogni volta che partono quelle quattro botte di tastiera mi sento rinascere -come fosse l’inno nazionale di un paese nel quale sono orgoglioso d’esser cittadino, o qualcosa del genere. Non so quale sia l’opinione del Conte in merito. L’ho rivisto a una rimpatriata, qualche anno fa, e abbiamo parlato di altro. È in una forma fisica invidiabile, ha aperto una piccola impresa edile, sposato la donna con cui si era fidanzato allora e prodotto due figlie adolescenti. Io ho la pancia, una newsletter di musica e una decina di teorie su come la sinistra debba ripartire da Gala Rizzatto. Vestiamo entrambi con maglietta, pantaloni e scarpe da ginnastica.